mercoledì 9 dicembre 2020

LA FEDE- UNA VISIONE AUDITA

DALLA MEDITAZIONE ALLA CONTEMPLAZIONE.

San Giovanni della Croce ha scoperto la strada, la via operativa consistente nell' immergere nella Notte, per mezzo della Fede, della Speranza e della Carità, i tre poteri dell'anima : l'intelletto, la memoria e la volontà.

Secondo le sue concezioni la Fede e la dottrina della santa Chiesa sono una sola e medesima cosa.

Rimanendo nella visuale comparativa col pensiero indiano potremo paragonare la funzione della Chiesa a quella del guru.
Ne scaturisce, per prima cosa che, per avere fede, non bisogna attivare le funzioni intellettive, in quanto come citava San Paolo : "La fede è il fondamento di ciò che speriamo e la dimostrazione di ciò che non vediamo" ( Ebrei XI, 1) quindi consiste nella sostanza delle cose che noi speriamo e, per quanto l' intelletto vi aderisca con fermezza, non ci è possibile scoprirle, rimanendo nell'oscurità (Salita del Monte Carmelo, II, 6: 2).
Così l'intelletto umano dovrà essere seppellito nella Notte prima che la luce della fede sia rivelata e possa brillare.

Ugualmente accade per lo yogi.
Uno stato simile è quello in cui il mentale viene purificato dalle sue modificazioni (vŕitti).
La fede diventa una visione che risveglia il cuore dell'allievo per grazia del guru.
È quanto la tradizione indiana esprime con l'apertura del terzo occhio.
Da notare come sia la Chiesa per i cristiani, che il guru per gli indù, sono intransigenti riguardo al carattere della loro esclusività nella concessione di questa visione, sottolineando la necessaria obbedienza.
Naturalmente per la Chiesa non esiste scelta, (unico Guru) essendo unica interprete della Fede, acquisibile nell'audizione. Vale cioè una conoscenza che si acquista non con gli altri sensi, ma con l'udito. Per l'indiano occorre stare molto attenti quando si va a cercare il proprio guru, in quanto solo dopo averlo ben identificato la "sottomissione" diventa incondizionata.

I fondamenti della Fede, la sostanza della Fede, quindi, sono sia per l'uno o per l'altra parte, degli scritti, (le Sacre Scritture per i cristiani e la Śruti per gli indù) trasmessi con la parola e ricevuti con l'audizione.
Si rende necessaria la purificazione della mente per aprire la strada alla capacità di comprensione di queste scritture, di questa conoscenza superiore, ottenendo la soluzione del potere immaginativo e della fantasia, e la devitalizzione del mentale.

Se condotto bene (da un accorto direttore) questo processo dissolutivo progressivamente farà scomparie tutto questo potere della mente.
L' azione nella Notte Oscura conduce a ciò che San Giovanni della Croce definisce i "due sensi corporali interiori" cioè l'immaginazione e la fantasia. Ciò che lo yoga chiama samkalpa e vikalpa.
L'una serve all'altra. Quantunque le immagini servano in un primo momento per aiutare a concentrare e quindi alla meditazione, la mente non dovrà perdersi in esse. In seguito, per poter giungere alla unione divina l'anima dovrà spogliarsi di tutte queste immagini e rimanere all'oscuro.
Il 51° sutra del primo capitolo di Patañjali esponendo il procedimento per raggiungere il samādhi sottolinea la necessità di abbandonare l' attaccamento a tutte le forme di concentrazione e meditazione. Non appena il controllo su samkalpa e vikalpa è totale non si riproduce più alcun genere di rappresentazione. Queste ultime quindi sono plausibili solo per i principianti. 
Occorrono per far abituare l'anima del neofita, attraverso i sensi, a tutto ciò che e spirituale.
In seguito dovranno essere abbandonate in quanto sono parte di una meditazione cosiddetta discorsiva, ma questo avverrà solo quando lo Spirito vorrà.
La sapienza di San Giovanni della Croce ha attinto profondamente a queste conoscenze della vita spirituale anche delle altre tradizioni.
Il metodo yoga si serve della meditazione della concentrazione al fine di distogliere i pensieri dai soggetti mondani, in quanto la mente non può fare a meno di "vagabondare", impegnandosi con raffigurazioni il cui contenuto è di ordine spirituale.
Śri Rāmana Mahāŕsi  (nella foto) fece questa analogia :
《L'immaginazione, l'agitazione della mente,  può essere paragonata ad un elefante la cui proboscide, continuamente in movimento, spezza un ramo qui, un altro là dall'albero al quale l'animale è legato. Allo scopo di non fargli fare troppi danni, viene posta alla proboscide una catena. 
Immediatamente l'elefante inizia a giocare con essa.
Così avviene per l' immaginazione quando viene distolta dalla sua consuetudine da un soggetto spirituale.
Il movimento della proboscide non si arresta, l'immaginazione è quella di prima, ma l'accorgimento della catena permette di limitare i danni.》

Il santo dà così delle importanti indicazioni per poter capire quando è il momento per abbandonare la meditazione e passare alla contemplazione.
Qui l'anima si trova sola con Dio e può godere della pace interiore





(Tratto dal libro "Pensiero indiano e mistica carmelitana di Svāmi Siddheśvarānanda)

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