domenica 23 ottobre 2022

LA MEMORIA PREZIOSA SORGENTE

Penso che la memoria sia la dimensione antropologica fondamentale, per non dire cruciale.

Grazie alla memoria, ricordando esperienze del passato, possiamo procedere lungo il percorso esistenziale con una ritrovata sicurezza. 

Ricordare una formula matematica, ripetere una poesia, eseguire una ricetta di cucina.

Perfino ricordare se qualcuno ci ha fatto un torto.

Inoltre, la memoria, ci consente di ricordare i legami familiari, la nostra infanzia e le relazioni in genere, consolidandole.

Per non parlare delle grandi questioni che coinvolgono anche una "memoria collettiva" del tipo disastri ecologici, terremoti, guerre, genocidi, pandemie.

Ma questa è un'altra questione.

Concentrando la nostra osservazione su quella che potremo definire la memoria personale o "memoria interna", volevo far notare come da sempre, ed almeno fino ad oggi, il meccanismo di "assorbimento" dei ricordi sembra  accompagnare ed agevolare il depositarsi delle nostre vicende in questo serbatoio virtuale, (un vaso d'espansione), dal quale involontariamente la nostra mente sembra attingere al verificarsi di un evento analogo.

Tale deposito avviene attraverso una stratificazione dei fatti che idealmente fa pensare alla possibilità di ri-pescarli andando più o meno lontano nel tempo.

Negli ultimi venti anni, però, in concomitanza con l'accellerazione dei tempi propria della globalizzazione, stiamo assistendo ad una graduale deformazione di tale meccanismo di assorbimento e di rilascio.

Credo che in questo la velocità di scambio delle immagini, e delle informazioni, propria della tecno-digitalizzazione, abbia una sua responsabilità.

Il progresso tecnodigitale sta contribuendo a consolidare il ricordo di eventi storie, immagini, confinandoli in una temporalità più ristretta.

Le ripetute e rinnovate sollecitazioni che il nostro organo cerebrale subisce sembrano stimolare verso un rilascio graduale delle "questioni" remote per andare verso un oblìo di tutto quello che riguarda gli accadimenti del passato, meno recente, rendendoli più evanescenti, per focalizzare il proprio mirino sugli avvenimenti presenti o recentemente accaduti.

Questo procedere sembra alimentare ed abituare il "muscolo della memoria" ad una nuova modalità di funzionamento riducendo così il tempo vitale di un ricordo ad un arco più ristretto.

Ma è veramente così?

O, piuttosto, il tempo "vitale" di un ricordo dipende dalla profondità e dalla grandezza dell'emozione legata a quel ricordo.

Oppure ci sono dei clusters specifici del serbatoio deputati e ri-tenere le questioni più recenti/meno urgenti, ed altri clusters a farlo con quelle più remote/fondamentali.

Sicuramente la Scienza saprà dire molto più di me a riguardo. 

Da puro osservatore posso solo riflettere. 

Personalmente credo che alcune questioni (vedi gestione pandemica) funzionino alla stregua di alcuni post dei social che permangono in 'testa' della bacheca, rilasciando ancora nel presente un malessere che senbra non trovare una sua metabolizzazione. 

Dopo quasi tre anni di tribolazioni, di storie personali di diritti calpestati, di decreti illegittimi, di protocolli di salute negati e di menzogne svelate, emerge periodicamente con insistenza nelle menti di tutti noi questa eggregora. 

Riappare sopra i nostri cieli tersi una nuvola grigia che grida il proprio orrore, fa risuonare il proprio dissenso, chiede giustizia e talvolta, ahimè, urla la propria vendetta.

Evidentemente siamo di fronte a vicende talmente grandi e sconvolgenti capaci si di entrare prepotentemente nella memoria collettiva.

Un dato è certo. 

Questa vicenda ha inciso profondamente nella sfera psichica di molti lasciandovi tracce indelebili. 

La memoria certamente qui ha avuto un suo effetto devastante.

mercoledì 19 ottobre 2022

LO YOGA DI SAN GIOVANNI DELLA CROCE

Le quattro branche nelle quali si usa distinguere lo yoga- Jñāna, che rappresenta l'unione attraverso la conoscenza, Bhakti, che è l'unione attraverso l'amore, Karma, l'unione tramite le azioni, e Raja, parte integrante delle altre tre, che consiste in una disciplina fisica e mentale- possono essere considerate, nella correlazione tra il pensiero indiano, e la mistica cristiana, come uno strumento valido per comprendere il senso di unione con Dio frutto della profonda ricerca di molti mistici primo tra tutti San Giovanni della Croce.

In generale il termine yoga comprende questa prospettiva di unione e quindi di collegamento con il divino, che sta alla base di ogni ricerca spirituale.

Nelle rappresentazioni che si fanno di questo grande mistico, sembra che lo si voglia inquadrare come appartenente alla categoria degli jñānin (Jñāna yogyn) affiancato ad altre figure come Rāmana Mahārsi.

Ma forse è  alquanto semplicistico affermarlo.Il jñàna tenta di vedere le cose non dalla visuale dell'osservatore interessato a un certo aspetto esistenziale, ma da quella del testimone, risalendo incessantemente all'Essere e non rimanendo mai in nessuno degli 'esistenti'.

Questi (esistenti) sono le proiezioni (stati di coscienza), attraverso le quali passa il mistico, vale a dire visioni di Dio, ascolto delle Sue Parole, la stessa beatificazione, attraverso le quali l'Essere si manifesta, ma non sono l'essere.

Per l'jñānin che ha realizzato l'Essere, essi non sono che spettacoli, drśya, e non ne rimane impressionato perché partecipa a ciò che è la vera natura, a quell'Essere unico in cui egli si è stabilizzato.

Il vero Jñānin è un uomo dell'intelletto stabile, un conoscitore  fermamente stabilito nel Sé. Realizzandosi in quanto sé, non cerca né Salvatore né Redentore.

La sua posizione coscenziale non corrisponde più a quella delle scuole dualiste che considerano la persona diversa dall'essere assoluto che l'ha creata.

Questo comportamento del jñānin, però, non riposa sull'Unione propriamente detta poiché non vi sono due principi, ma uno solo che occorre svelare. 

La conoscenza non è un'acquisizione, ma è un togliere il velo. 

Ben presto ci accorgiamo che le forme-immagini del mondo non sono reali- non avendo un'esistenza e un'individualità, ma apparenze sovrapposte ad un Essere unico, il solo vero e reale. La luce di questa conoscenza porta alla Saggezza. Uno stato di coscienza suprema dove non esiste possibilità di errore.

L' Essere vive nella verità, il tattva.

Questo stato di coscienza sopravviene quando tutti i sofismi intellettuali si sono dimostrati senza via di uscita.

Non basta quindi rimanere refrattari ad un insegnamento formale per ritenersi un jñājin. La maggior parte di coloro che si allontanano dal credo imposto di una Chiesa, ad esempio,  lo fanno solo per sentirsi liberi nella ricerca di altre credenze. 

Ma, essendo condizionati da una formazione teologica, rimangono sempre coinvolti dai processi razionali insiti nelle rispettive scuole di appartenenza. 

Essere insoddisfatti degli insegnamenti primitivi della propria Chiesa e aver compreso qualcosa dopo aver letto Vivekānanda, o studiato Rāmana Mahārsi non basta per divenire un jñānin.

Diverso dal Saggio che ha raggiunto questa Suprema Conoscenza, è 

colui che ha atteggiamento religioso.

Considerando quanto sia difficile per un essere umano distaccarsi dal desiderio di conoscere, Dio ci ha dato la Rivelazione.

L'atteggiamemto religioso è una speculazione diretta dalla legge delle cause prime e delle cause ultime. Ma la ricerca della Causa prima risulta impossibile.

L'affermazione di una Causa prima è una necessità mentale per cui è assurdo affermare che si può incontrare Dio restando in questo universo, perché vi si incontreranno solo degli effetti. La Causa primordiale è il non Manifesto.

Solo l'incarnazione divina contiene in se stessa contemporaneamente la Causa prima e la manifestazione.

Nessuna ricerca di causa otterrà i suoi risultati positivi, dicevamo, finché non verranno tolti i veli, i cinque involucri che costituiscono la propria individualità empirica. Vale a dire :

Quello fisico

Quello dell'energia vitale

Quello del mentale

Quello dell'intelligenza 

Quello della felicità 

L' ātman, il solo vero Essere, si nasconde dietro questi involucri.

La relazione di casualità non ci permetterà mai di avere una comprensione perfetta, perché essa si limita a collegare quanto succede nel campo del fenomeno.

L'jñānin, cogliendo ciò che è dietro le apparenze, perviene a ciò che non è irreale, sat, a ciò che non è incosciente, cit, a ciò che non è privo di felicità, ānanda.

Il mondo è senza causa (ajā), non è reale assoluto. Esso appartiene al dominio dell'opinione: māta.

Il tattva, la realtà che il jñānin cattura è dell'ordine di Sat-Cit-Ānanda.

San Giovanni della Croce, in quanto ricercatore della causa Suprema, non può essere considerato puro jñānin. Per il Santo, Dio resta il Padre delle creature, la Causa Suprema alla quale è subordinato il mondo. 

Per quanto l'anima si unisca a Lui, essa rimane differente dallo Spirito che la illumina, mantenendo natura distinta da quella divina.

Nello yoga di San Giovanni della Croce sembra che esista ancora la nozione di Creatore e della creatura.

Per lui l'unione con Dio si realizza grazie alla fede. Tuttavia troviamo in lui un procedere e un atteggiamento paragonabili a quelli gnostici. Il Santo possiede in modo elevato le qualità indispensabili alla realizzazione del Jñāna.

(Spunti tratti da "Pensiero indiano e Mistica carmelitana" di Swāmi Siddheśvarānanda-Asram Vidya edizioni)

sabato 8 ottobre 2022

SAMARIA: UNA VIA NECESSARIA PER GERUSALEMME

Quello che vediamo negli altri e che spesso tendiamo ad evitare è quello che pure è presente in noi.

Dovremo tutti attraversare la "Samaria" per giungere a "Gerusalemme"

Questo percorso interiore è un itinerario iniziatico di conversione.

Dapprima occorre sprofondare nelle proprie quotidiane infedeltà per accorgersi che questi sono solo atteggiamenti intrisi da ideali perversi di purezza.

-Tutte le volte che cerchiamo un cammino distante dal contagio del "lebbroso"- 

Se siamo nella nostra "Samaria' la lebbra, anche se cerchi di evitarla, ti viene incontro, mostrandoti la tua parte malata. 

Così, fermandoti, cerchi di tenerla a distanza. Non vuoi guardare in faccia la parte malata di te! Pur sapendo che anche il tuo agire è stato "lebbroso" e qualcuno soffre a causa tua.

Dovrò accettare la presenza di questa mia parte malata che chiede attenzione.

Cristo ordina alla nostra parte malata di camminare con noi, mentre ancora abbiamo qualche resistenza a farlo. Vorremmo farci trovare "puri" e presentabili davanti ai "sacerdoti". 

Poter raccontare, ma a volte è solo un raccontarci, una storia esemplare di conversione. Invece abbiamo solo la nostra  miseria, la nostra lebbra e la vergogna per ciò che siamo.


Durante il percorso ci accorgiamo che qualcosa avviene (l'importante è il viaggio e non la meta).

Il cammino è in grado di purificare e asciugare la  lebbra, ma spesso non siamo riconoscenti di quanto avvenuto.


Ci dimentichiamo che dobbiamo la nostra vita agli altri, alla loro pazienza, al fatto che ci siamo e che ci permettono cammini di avvicinamento.

Solo quella parte "straniera" sembra essere riconoscente. È quella parte che tornando a Lui ci riconsegna a noi e ci fa sentire di adorarlo. Questo ritorno ci fa già gustare un anticipo di Eternità.


A questo ci sentiamo chiamati, a far tornare tutto a Lui, a sentire che il male che ci abita pur mantenendo la pesantezza dello scandalo, pur attraversato dalla tenebra (soprattutto quando abbiamo fatto del male ad altri, quando abbiamo scandalizzato i piccoli) può trasfigurarsi in possibilità. 

Lo "straniero" diventa così quella parte di noi che ci fa scoprire la nostra vera "patria", la nostra appartenenza di figli di Dio, restituendoci la nostra più autentica "cittadinanza"

Qui di seguito una particolare ed artistica interpretazione di questo "percorso"

La forma di espressione ivi presente è 

 "lamento del viaggiatore" durante il percorso che lo porterà a Gerusalemme. I testi nel video sono di Gesualdo Bufalino.

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LETTERATURA DA VEDERE

Ieri sera al Teatro degli Industri di Grosseto, in occasione della celebrazione della 62^ giornata mondiale del Teatro- per il centenario da...