Riflessioni sulla spontaneità, la crescita e il valore di restare autentici
La spontaneità dei bambini
Avete mai notato la spontaneità dei bambini?
Quel modo unico e disarmante di esprimersi, di ridere, piangere, stupirsi, senza filtri né maschere. È forse una delle qualità più pure dell’essere umano: la libertà di essere sé stessi, senza preoccuparsi del giudizio altrui.
Parlo naturalmente di quell’età magica in cui non esistono ancora condizionamenti, in cui il mondo è un terreno da esplorare e la fantasia è la chiave di ogni porta.
Oggi, però, quella fase sembra durare sempre meno. Se un tempo si poteva dire che l’infanzia “autentica” arrivasse fino ai tre anni, ora, forse, si ferma ancora prima.
Un’infanzia che si accorcia
Il motivo? Probabilmente l’evoluzione accelerata dei costumi, spinta dal progresso culturale e tecnologico.
Viviamo immersi in un flusso continuo di stimoli, immagini, messaggi e suoni che raggiungono anche i più piccoli.
La “società dei consumi”, con la sua comunicazione sempre più martellante e intrusiva, penetra fino al centro della nostra psiche, trasformando lentamente il modo in cui percepiamo noi stessi e il mondo.
E così, quell’innocenza originaria, quella spontaneità naturale dei bambini, rischia di essere soffocata troppo presto.
Forse dovremmo imparare da loro prima che imparino da noi: ricordare com’è vivere senza sovrastrutture, senza il bisogno di apparire, con la semplice gioia di essere.
Ritrovare la spontaneità perduta
Forse crescere non significa soltanto imparare, ma anche ricordare.
Ricordare chi eravamo quando tutto era nuovo, quando la meraviglia non aveva bisogno di un motivo, e ogni giorno era un piccolo viaggio nel possibile.
Da adulti, ci vestiamo di ruoli, doveri, apparenze. Ci dimentichiamo del piacere di dire “non lo so”, del coraggio di fare domande semplici, di sbagliare senza paura.
Eppure, in quella leggerezza infantile c’è una forza immensa: la forza dell’autenticità.
Essere autentici oggi è quasi un atto rivoluzionario.
Significa scegliere di non farsi trascinare dal rumore del mondo, di ascoltare la propria voce anche quando sussurra piano.
Significa educare i bambini – ma anche noi stessi – a restare curiosi, a custodire lo stupore, a guardare con occhi puliti ciò che tutti danno per scontato.
Forse, la vera sfida non è crescere in fretta, ma imparare a non smettere mai di essere piccoli dentro.
Non nell’ingenuità, ma nella capacità di meravigliarsi, di commuoversi, di vivere ogni emozione come fosse la prima.
Ogni volta che ci concediamo di ridere senza motivo, di sognare a occhi aperti, di ascoltare davvero un bambino, stiamo recuperando un frammento di quella verità originaria che avevamo dimenticato.
Perché la spontaneità non si perde del tutto: resta dentro di noi, silenziosa, in attesa di essere riscoperta.
E forse, il senso più profondo del nostro cammino è proprio questo: diventare adulti senza smettere di essere bambini.
Continuare a stupirsi
Ogni giorno possiamo scegliere se vivere in difesa o in apertura.
Possiamo lasciarci imprigionare dall’abitudine, oppure accogliere il mondo con la stessa curiosità di un bambino che vede la pioggia per la prima volta.
Essere grandi non significa rinunciare alla meraviglia.
Significa imparare a custodirla, a proteggerla dentro di noi come una piccola fiamma che illumina anche nei momenti bui.
E allora, quando qualcuno ci chiederà cosa vogliamo fare “da grandi”, potremo sorridere e rispondere con semplicità:
> «Voglio continuare a stupirmi, come quando ero piccolo.»
Nessun commento:
Posta un commento