lunedì 13 ottobre 2025

COSA FARÒ DA PICCOLO

 


Riflessioni sulla spontaneità, la crescita e il valore di restare autentici

La spontaneità dei bambini

Avete mai notato la spontaneità dei bambini?

Quel modo unico e disarmante di esprimersi, di ridere, piangere, stupirsi, senza filtri né maschere. È forse una delle qualità più pure dell’essere umano: la libertà di essere sé stessi, senza preoccuparsi del giudizio altrui.

Parlo naturalmente di quell’età magica in cui non esistono ancora condizionamenti, in cui il mondo è un terreno da esplorare e la fantasia è la chiave di ogni porta.

Oggi, però, quella fase sembra durare sempre meno. Se un tempo si poteva dire che l’infanzia “autentica” arrivasse fino ai tre anni, ora, forse, si ferma ancora prima.


Un’infanzia che si accorcia

Il motivo? Probabilmente l’evoluzione accelerata dei costumi, spinta dal progresso culturale e tecnologico.

Viviamo immersi in un flusso continuo di stimoli, immagini, messaggi e suoni che raggiungono anche i più piccoli.

La “società dei consumi”, con la sua comunicazione sempre più martellante e intrusiva, penetra fino al centro della nostra psiche, trasformando lentamente il modo in cui percepiamo noi stessi e il mondo.

E così, quell’innocenza originaria, quella spontaneità naturale dei bambini, rischia di essere soffocata troppo presto.

Forse dovremmo imparare da loro prima che imparino da noi: ricordare com’è vivere senza sovrastrutture, senza il bisogno di apparire, con la semplice gioia di essere.


Ritrovare la spontaneità perduta

Forse crescere non significa soltanto imparare, ma anche ricordare.

Ricordare chi eravamo quando tutto era nuovo, quando la meraviglia non aveva bisogno di un motivo, e ogni giorno era un piccolo viaggio nel possibile.

Da adulti, ci vestiamo di ruoli, doveri, apparenze. Ci dimentichiamo del piacere di dire “non lo so”, del coraggio di fare domande semplici, di sbagliare senza paura.

Eppure, in quella leggerezza infantile c’è una forza immensa: la forza dell’autenticità.


Essere autentici oggi è quasi un atto rivoluzionario.

Significa scegliere di non farsi trascinare dal rumore del mondo, di ascoltare la propria voce anche quando sussurra piano.

Significa educare i bambini – ma anche noi stessi – a restare curiosi, a custodire lo stupore, a guardare con occhi puliti ciò che tutti danno per scontato.

Forse, la vera sfida non è crescere in fretta, ma imparare a non smettere mai di essere piccoli dentro.

Non nell’ingenuità, ma nella capacità di meravigliarsi, di commuoversi, di vivere ogni emozione come fosse la prima.

Ogni volta che ci concediamo di ridere senza motivo, di sognare a occhi aperti, di ascoltare davvero un bambino, stiamo recuperando un frammento di quella verità originaria che avevamo dimenticato.


Perché la spontaneità non si perde del tutto: resta dentro di noi, silenziosa, in attesa di essere riscoperta.

E forse, il senso più profondo del nostro cammino è proprio questo: diventare adulti senza smettere di essere bambini.


Continuare a stupirsi

Ogni giorno possiamo scegliere se vivere in difesa o in apertura.

Possiamo lasciarci imprigionare dall’abitudine, oppure accogliere il mondo con la stessa curiosità di un bambino che vede la pioggia per la prima volta.

Essere grandi non significa rinunciare alla meraviglia.

Significa imparare a custodirla, a proteggerla dentro di noi come una piccola fiamma che illumina anche nei momenti bui.

E allora, quando qualcuno ci chiederà cosa vogliamo fare “da grandi”, potremo sorridere e rispondere con semplicità:


> «Voglio continuare a stupirmi, come quando ero piccolo.»

sabato 4 ottobre 2025

UNA LETTURA CURATIVA

È stata davvero una sorpresa constatare come LA CURA- tema e titolo del libro- si sia rivelata lo stessa adottata dagli autori nella scrittura dei suoi testi.

L'antologia, scritta con molta cura, appunto, da un gruppo di medici grazie ad un'iniziativa organizzata dall' Ordine professionale, è nata un pó per gioco, ma ha disvelato subito insospettate capacità letterarie tra la compagine.

Ogni racconto, ciascuno nel suo particolare stile, mostra una certa abilità compositiva degli autori.

Talora minuziosamente descrittiva, la narrazione scorre bene grazie ad un fraseggio elaborato.Talaltra, la stessa, si avvale di frasi brevi, incalzanti che come brevi fotogrammi ricompongono il mosaico del racconto, accompagnando il lettore dentro le storie, che sono spesso racconti autobiografici dissimulati nelle esperienze professionali dei protagonisti. 

Personaggi che in prima persona testimoniano il loro particolare rapporto con la professione di medico. Un lavoro che racconta davvero una passione che ora attraverso le storie si fa forte di una  testimonianza autentica che ci consegna la vera natura della relazione medico-paziente. Quella capace di far percepire dietro il rapporto tecnico-sanitario, i suoi aspetti piu umani, quelli attinenti alla dimensione affettiva ed emozionale. 

Ogni racconto diventa quasi una 'confessione'  rivelatrice dell'opera svolta in tanti anni di professione (parla il pensionato) ed ancora vivida nelle quotidiane esperienze (per i medici ancora in servizio), una testimonianza capace di cogliere le espressioni più profonde dell'animo umano.

COSA FARÒ DA PICCOLO

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