Ultimamente la frequenza nella recitazione del Santo Rosario ha stimolato la mia attenzione a soffermarsi sulla parte finale della sua estensione che si esprime con le cosiddette litanie lauretane. Espressioni brevi, di una potenza indescrivibile che sottolineano le qualità della Madre celeste.
Grazie alla loro formula ripetitiva ho potuto soffermarmi sul senso profondo di alcuni termini adottati. Parole che a volte potrebbero apparire arcaiche, ma che al contrario risultano essere a noi molto vicine in quanto incredibilmente accostabili alle situazioni che viviamo.
Tra tutte le litanie presenti mi è risuonata in particolar modo interessante quella che recita: rifugio dei migranti.
Ho scritto approdi, volutamente, badate bene, e non sbarchi.
Sì, perché le parole contengono già in sé una pre-disposizione, una dichiarazione di intenti.
Dicendo approdo, alimentiamo nel nostro cuore un desiderio di accoglienza misto ad una buona volontà di agire.
Mente e cuore.
Ecco che il nostro spazio, inteso come territorio caratterizzante la nostra identità nazionale, può diventare un rifugio, un porto sicuro per persone toccate da un destino infausto, e per usare una parola che non dovrebbe esistere: l'altro.
Quando nei nei nostri occhi brillerà il riflesso della pelle dei fratelli piagata dal sale.
Solo allora potranno davvero cadere quei confini puramente mentali disegnati dalla grafia dell'orgoglio, dalla supponenza di superiorità, dalla chiusura del cuore.