mercoledì 19 ottobre 2022

LO YOGA DI SAN GIOVANNI DELLA CROCE

Le quattro branche nelle quali si usa distinguere lo yoga- Jñāna, che rappresenta l'unione attraverso la conoscenza, Bhakti, che è l'unione attraverso l'amore, Karma, l'unione tramite le azioni, e Raja, parte integrante delle altre tre, che consiste in una disciplina fisica e mentale- possono essere considerate, nella correlazione tra il pensiero indiano, e la mistica cristiana, come uno strumento valido per comprendere il senso di unione con Dio frutto della profonda ricerca di molti mistici primo tra tutti San Giovanni della Croce.

In generale il termine yoga comprende questa prospettiva di unione e quindi di collegamento con il divino, che sta alla base di ogni ricerca spirituale.

Nelle rappresentazioni che si fanno di questo grande mistico, sembra che lo si voglia inquadrare come appartenente alla categoria degli jñānin (Jñāna yogyn) affiancato ad altre figure come Rāmana Mahārsi.

Ma forse è  alquanto semplicistico affermarlo.Il jñàna tenta di vedere le cose non dalla visuale dell'osservatore interessato a un certo aspetto esistenziale, ma da quella del testimone, risalendo incessantemente all'Essere e non rimanendo mai in nessuno degli 'esistenti'.

Questi (esistenti) sono le proiezioni (stati di coscienza), attraverso le quali passa il mistico, vale a dire visioni di Dio, ascolto delle Sue Parole, la stessa beatificazione, attraverso le quali l'Essere si manifesta, ma non sono l'essere.

Per l'jñānin che ha realizzato l'Essere, essi non sono che spettacoli, drśya, e non ne rimane impressionato perché partecipa a ciò che è la vera natura, a quell'Essere unico in cui egli si è stabilizzato.

Il vero Jñānin è un uomo dell'intelletto stabile, un conoscitore  fermamente stabilito nel Sé. Realizzandosi in quanto sé, non cerca né Salvatore né Redentore.

La sua posizione coscenziale non corrisponde più a quella delle scuole dualiste che considerano la persona diversa dall'essere assoluto che l'ha creata.

Questo comportamento del jñānin, però, non riposa sull'Unione propriamente detta poiché non vi sono due principi, ma uno solo che occorre svelare. 

La conoscenza non è un'acquisizione, ma è un togliere il velo. 

Ben presto ci accorgiamo che le forme-immagini del mondo non sono reali- non avendo un'esistenza e un'individualità, ma apparenze sovrapposte ad un Essere unico, il solo vero e reale. La luce di questa conoscenza porta alla Saggezza. Uno stato di coscienza suprema dove non esiste possibilità di errore.

L' Essere vive nella verità, il tattva.

Questo stato di coscienza sopravviene quando tutti i sofismi intellettuali si sono dimostrati senza via di uscita.

Non basta quindi rimanere refrattari ad un insegnamento formale per ritenersi un jñājin. La maggior parte di coloro che si allontanano dal credo imposto di una Chiesa, ad esempio,  lo fanno solo per sentirsi liberi nella ricerca di altre credenze. 

Ma, essendo condizionati da una formazione teologica, rimangono sempre coinvolti dai processi razionali insiti nelle rispettive scuole di appartenenza. 

Essere insoddisfatti degli insegnamenti primitivi della propria Chiesa e aver compreso qualcosa dopo aver letto Vivekānanda, o studiato Rāmana Mahārsi non basta per divenire un jñānin.

Diverso dal Saggio che ha raggiunto questa Suprema Conoscenza, è 

colui che ha atteggiamento religioso.

Considerando quanto sia difficile per un essere umano distaccarsi dal desiderio di conoscere, Dio ci ha dato la Rivelazione.

L'atteggiamemto religioso è una speculazione diretta dalla legge delle cause prime e delle cause ultime. Ma la ricerca della Causa prima risulta impossibile.

L'affermazione di una Causa prima è una necessità mentale per cui è assurdo affermare che si può incontrare Dio restando in questo universo, perché vi si incontreranno solo degli effetti. La Causa primordiale è il non Manifesto.

Solo l'incarnazione divina contiene in se stessa contemporaneamente la Causa prima e la manifestazione.

Nessuna ricerca di causa otterrà i suoi risultati positivi, dicevamo, finché non verranno tolti i veli, i cinque involucri che costituiscono la propria individualità empirica. Vale a dire :

Quello fisico

Quello dell'energia vitale

Quello del mentale

Quello dell'intelligenza 

Quello della felicità 

L' ātman, il solo vero Essere, si nasconde dietro questi involucri.

La relazione di casualità non ci permetterà mai di avere una comprensione perfetta, perché essa si limita a collegare quanto succede nel campo del fenomeno.

L'jñānin, cogliendo ciò che è dietro le apparenze, perviene a ciò che non è irreale, sat, a ciò che non è incosciente, cit, a ciò che non è privo di felicità, ānanda.

Il mondo è senza causa (ajā), non è reale assoluto. Esso appartiene al dominio dell'opinione: māta.

Il tattva, la realtà che il jñānin cattura è dell'ordine di Sat-Cit-Ānanda.

San Giovanni della Croce, in quanto ricercatore della causa Suprema, non può essere considerato puro jñānin. Per il Santo, Dio resta il Padre delle creature, la Causa Suprema alla quale è subordinato il mondo. 

Per quanto l'anima si unisca a Lui, essa rimane differente dallo Spirito che la illumina, mantenendo natura distinta da quella divina.

Nello yoga di San Giovanni della Croce sembra che esista ancora la nozione di Creatore e della creatura.

Per lui l'unione con Dio si realizza grazie alla fede. Tuttavia troviamo in lui un procedere e un atteggiamento paragonabili a quelli gnostici. Il Santo possiede in modo elevato le qualità indispensabili alla realizzazione del Jñāna.

(Spunti tratti da "Pensiero indiano e Mistica carmelitana" di Swāmi Siddheśvarānanda-Asram Vidya edizioni)

Nessun commento:

Posta un commento

L'ALBA DEL NUOVO MONDO

L’alba del nuovo mondo”, il titolo del libro che ha presentato l’autore Gabriele Sannino è molto coraggioso. Nella sala Conferenze di Vill...