Quest'opera teatrale scritta nel 1959 può meritarsi di essere inscritta in questo tipo di rappresentazione.
Molti sono i riferimenti che si possono trarre ed anche gli accostamenti con i tempi odierni. L'incombenza di una particolare pandemia, la rinocerontite, che vede trasformarsi la razza umana in rinoceronte, dapprima si sviluppa in un piccolo paese della Francia per poi arrivare ad estendersi a tutta la popolazione, trasformando il genere umano.
In questa pièce, l’autore attacca l’opportunismo, il doppiogiochismo, la standardizzazione. Unico rappresentante superstite, sembra essere il protagonista Berenger che con la sua resistenza vuole comunicarci che nell’estremo pericolo si rintraccia il vero senso, guarendo addirittura dalla "malattia" dell’assurdo.
Scorrendo l'evolversi degli eventi si assiste ad un graduale coinvolgimento (nella malattia) ed espansione della trasformazione in tutti gli ambienti, istituzionali,
di lavoro e ricreativi che porta pian piano come ad accettare passivamente la propria ineluttabile condizione. Tutti cambiano le loro "sembianze" per vestire l'abito del rinoceronte. Pelle dura e colorito verdastro.
Dalla finzione nell'opera agli accadimenti della realtà attuale un fine parallelismo.
Da una parte il sistema costituito dalle organizzazioni socio-politico-ecomomiche che dettano un indirizzo per la risoluzione di una crisi attraverso strumenti sempre più costrittivi e meno libertari.
Dall'altra un fronte di resistenza sempre più distinto, ma composto anche da un'area meno radicale che pian piano, stretta da questa morsa di divieti di accesso ai servizi, si fa inglobare e diventa un rinoceronte anch'essa.
Chi prima criticava il sistema ora si trova a collaborare giustificando il proprio "cambio di pelle".
Quanti rappresentati della cultura, quanti filosofi e scrittori stanno cambiando pelle anche oggi.
Li abbiamo, tutti,sotto i nostri occhi.
Facciamoci caso se anche a loro stanno spuntando sopra al naso uno o due corni.
< Il Rinoceronte- Eugène Ionesco-in foto)
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