Prima di tutto c'è il silenzio.
Otto giorni. Un bel numero.
Se lo rovesciamo diventa infinito.
Coricato, sdraiato come il Cristo deposto, l'ottavo giorno diventa un giorno eterno, oltre il ripetersi delle settimane, ci fa sentire sprofondati in "questa" lunga settimana che è la vita nella quale la nostra fede rimane appena un flebile balbettío fino all'ottavo giorno.
Abbiamo bisogno di silenzio
Abbiamo bisogno anche di toccare, avere il contatto fisico come gesto innato di "comprensione", a volte per prendere, talvolta comprendere, spesso solo con la mente e non con il cuore.
Di base permane un difetto di fiducia e di fede che connota il nostro gesto a noi utile solo per toglierci la curiosità e fugare il dubbio.
Dovremo toccare per abbracciare, per curare, prenderci cura. Dimostrare di voler partecipare al dolore di una ferita per condividerne il disagio facendoci carico di parte del suo carico di sofferenza.
Si può ancora farlo, giunti all'ottavo giorno, anche quando le porte (del dolore) sono chiuse, quando le nostre ali sono chiuse.
E così dire la verità, testimoniarlo non è ancora condividerla.
Dovremo, ciascuno di noi, vivere l'esperienza del Risorto personalmente come Tommaso.
A che valgono le dichiarazioni di altri anche se vicini al Maestro.
Gesù parte da lui, dal suo cuore e dal cuore di tutti gli "increduli" prendendo sul serio la vita di fede di ogni persona.
Gesù può chiedere a Tommaso di credere perché Lui il Maestro ha creduto al modo di cercarlo del suo discepolo. Solo se siamo creduti possiamo credere.
Solo se abbiamo fatto l’esperienza di essere amati possiamo amare.
Così è il credere che permette di vedere, non è vero il contrario.
( Immagine del dipinto: Tommaso-l'incredulo Caravaggio)
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