domenica 14 novembre 2021

GREEN TRA DETERMINAZIONI E SLOGAN

Tra la fine degli anni novanta e la prima decade dei duemila, attorno alla questione del "climate change" c’è stata una guerra. Gli ambientalisti di tutto il mondo, a partire da quelli americani, che si preoccupavano di lanciare allarmi, documentando e prevedendo gli effetti catastrofici del cambiamento climatico entro pochi decenni, hanno subito una campagna di oscuramento e denigrazione a tappeto organizzata dai "think tank" dell’industria che ha fatto passare le loro tesi come farneticazioni di visionari che oggi verrebbero chiamati complottisti. 

Tuttavia, nel corso degli anni il dibattito anche tra gli scienziati è divenuto di pubblico dominio a tal punto che non è stato più possibile ignorare l’autorevolezza della comunità scientifica internazionale e le prove della correlazione tra le attività umane e il cambiamento climatico. 

I signori, capi dei governi, hanno iniziato a far finta di preoccuparsene con periodici Summit sul clima di facciata in cui nessun provvedimento credibile è mai stato preso, come sempre hanno denunciato gli ambientalisti e l’informazione indipendente.

A un certo punto nel 2006, sull’onda del colossal hollywoodiano “The day after Tomorrow”, man mano che la crisi energetica si rivelava sempre più stringente, è spuntato fuori Al Gore come rappresentante di un’industria “consapevole” del fatto che per sopravvivere avrebbe dovuto riconvertirsi in “green”, inaugurando l’era della Green Economy. 

Greta e il suo movimento mondiale di giovani sostenitori e interlocutori dell’establishment arrivano nel momento in cui l’industria della green economy ha bisogno di diffondere questa “consapevolezza”, la stessa che improvvisamente sembrano aver acquisito tutti i giornali del mondo, gli stessi media mainstream che fino a pochi anni prima avevano dato voce esclusiva ai debunker anti-ambientalisti del climate change e che oggi fanno di Greta un’eroina. 

Nel frattempo oggi, cosa propongono i promotori della Green Economy. Basta vedere le ultime risoluzioni della coop26 di Glasgow. Per lo più una riconversione fondata sul risparmio delle energie fossili, o meglio, sulla crescente sconvenienza economica e inaccessibilità allo sfruttamento delle energie fossili, la promozione e commercializzazione di beni a risparmio energetico e più in generale la digitalizzazione dei sistemi, procrastinando sempre più nel tempo la riduzione delle emissioni industriali. In conclusione, dell' accordo raggiunto ieri alle ore 21 nel Glasgow Climate Pact un piccolo gruppo di Paesi guidato da India e Cina ha determinato e decretato tale risoluzione. È stata sostituita una sola parola, ma pesante: la frase “accelerare gli sforzi per l’eliminazione dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili” è stata sostituita con “accelerare gli sforzi per la diminuzione dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili”. Comunque ne è scaturita una cauta soddisfazione in quanto verrà data un’accelerazione verso l’obiettivo di decarbonizzazione della società che tutti vogliono raggiungere attorno a metà secolo. 

A mio parere questa risoluzione porterà, prevedibilmente, solo un ulteriore aggravio sulle responsabilità e sull’economia (e sul controllo) dei cittadini, piuttosto che su quelle industrie e multinazionali dagli interessi economici connessi, poiché la verità è che una reale riduzione delle emissioni sarebbe possibile solo mediante un ripensamento completo del sistema globale del mercato di libero scambio e le logiche neoliberiste del profitto, cosa che l’establishment occidentale non ha mai ovviamente messo in discussione. Così mentre la farsa dell’emergenza climatica continua, le élite di Davos continueranno a fare quello che hanno sempre fatto: volgere il loro sguardo dove più trarre profitto, mantenendo il sistema capitalista globale fondato sullo sfruttamento delle risorse ambientali e umane ovunque possibile, producendo tecnologie e muovendo capitali e merci in tutto il mondo che continuano a produrre inquinamento, disuguaglianze e violenze, instaurando un sistema di sorveglianza e digitalizzazione sociale conveniente al diktat del mercato, sempre più trainato dall’industria hi-tech. It’s evolution baby. 

Come sta avvenendo per la questione Covid, non c’è bisogno di ricorrere a teorie negazioniste sul climate change per contestare la gestione del capitalismo a favore del profitto anziché della salute o dell’ambiente. Sono quegli interessi delle élite capitaliste che cavalcano le emergenze permanenti per i loro scopi e le operazioni di facciata infarcite di propaganda e menzogne che devono essere denunciati. Chi vivrà vedrà.


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